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jaimie branch: Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((guerra mondiale)) Recensione dell'album

Jun 27, 2023Jun 27, 2023

8.5

Di Andy Cush

Genere:

Jazz

Etichetta:

Inno internazionale

Rivisto:

28 agosto 2023

A metà di “burning grey”, dal suo sfrenato terzo e ultimo album Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((guerra mondiale)), Jaimie Branch lancia un’esortazione che potrebbe servire come dichiarazione di missione artistica: “Non dimenticare di combattimento." Sia che guidasse il suo quartetto Fly or Die o lavorasse come prolifica collaboratrice in scene e città, la trombettista, compositrice e cantante, morta per cause sconosciute a 39 anni l'anno scorso, faceva musica da una posizione di gioiosa sfida.

Il suo background era nel jazz, ma aveva poco riguardo per le presunte distinzioni di genere, attirando i ritmi sincopati della musica latina e caraibica, la chiarezza melodica della canzone popolare, le trame vorticose della psichedelia, l'astrazione della libera improvvisazione, la spavalderia dell'hip. -hop, il pugilato del punk rock. Il suo impegno per ogni nota non solo faceva sembrare plausibili queste connessioni tra i vari canoni; faceva sembrare assurda l'idea della loro separazione. Ci sono rischi intrinseci a tale agnosticismo riguardo allo stile. Per il dilettante entusiasta, può tradire una mancanza di concentrazione; per il professionista imparziale, la convinzione che gli idiomi siano esercizi da padroneggiare a memoria. Per Branch, la cui consumata abilità tecnica non ha mai ostacolato la sua passione pura, o viceversa, è semplicemente la prova della convinzione che tutti questi rami apparentemente divergenti crescano dallo stesso albero. E alla base, come dimostrano lei e i suoi collaboratori in ((guerra mondiale)), c'è la volontà di combattere, ballare e sopravvivere.

il ramo era quasi completato ((guerra mondiale)) quando morì. I membri della sua famiglia e i compagni di band hanno consultato i suoi appunti per finalizzare dettagli come mix e titoli delle tracce prima della sua uscita. Date queste circostanze, è forte la tentazione di ascoltare l’album come un requiem o il gran finale della sua breve ma significativa carriera. La sua struttura, che si apre con un'eroica fanfara di timpani e organo elettrico e si chiude con un canto funebre, non scoraggia inizialmente tale interpretazione. Ma ascoltando ulteriormente, sembra meno una fine che una fioritura crudelmente interrotta. Anche se gli ascoltatori delle precedenti registrazioni dei Branch con Fly or Die non avranno difficoltà a riconoscere ((world war)) come opera dello stesso leader della band, potrebbero anche essere colpiti dal numero di nuovi percorsi che l'album apre nella sua musica.

Le idee che apparivano ai margini dei documenti precedenti ora assumono una posizione centrale. Le melodie in tonalità maggiore influenzate dal calipso che si presentavano come uno scherzo in "simple silver surfer", da Fly or Die II, raggiungono proporzioni quasi sinfoniche nel pezzo centrale di nove minuti di "baba louie", ((world war)). La voce rude e veemente dei Branch, assente dal primo album Fly or Die e provvisoriamente presente nel secondo, è una forza trainante del terzo. Decisamente non è una cantante jazz, almeno non nel senso tradizionale: grida, implora, urla senza parole, canticchia persino una sorta di canzone country. I testi privilegiano per lo più il pragmatismo rispetto alla poesia, espliciti appelli alla resistenza allo status quo. Come i precedenti album Fly or Die, ((world war)) spesso dà la sensazione di una chiassosa festa di quartiere. In qualità di maestro di cerimonie, Branch non ci lascia mai dimenticare che non c'è solo una via di fuga nell'unirsi e nel lasciarsi andare, ma anche la solidarietà.

((world war)) La deviazione più sorprendente dal lavoro precedente di Branch arriva in “the mountain”, la melodia country di cui sopra, una rielaborazione di “Comin' Down” dei Meat Puppets, twang-punk dell'Arizona, che è abbastanza drastica e ispirata da merita il suo nuovo titolo. In netto contrasto con il massimalismo spensierato del resto dell'album, il suo accompagnamento strumentale è costituito quasi interamente dal contrabbasso pizzicato di Jason Ajemian. Ajemian canta da solista e il ramo si armonizza. Nessuno dei due è un cantante virtuoso, ma l'ostentazione non è il punto. Il testo, sulla discontinua ricerca di trascendere la fatica quotidiana, la monotonia e le incomprensioni, beneficia dell'umiltà della loro performance. La registrazione è quanto più scarna e rozza possibile: sentiamo respiri profondi collettivi, un ramo che mormora per tirarsi su, il suono dei due musicisti che si sposta fisicamente attorno al microfono. Considerato l'arrangiamento essenziale, l'assolo di tromba di Branch, quando arriva verso la fine della canzone, si presenta come una deliziosa sorpresa, anche su un album di un trombettista. C'è qualcosa di disinvolto e disinvolto nella semplicità dell'assolo, in particolare nella semplice sequenza di tre note che fornisce il suo climax emotivo, arrivando in un punto in cui un altro musicista avrebbe potuto tentare un gesto più straordinariamente elaborato. La sua sicurezza di sé e il rifiuto di piegarsi alle idee di qualcun altro sulla presentabilità riportano indirettamente alla mente il berretto da baseball a tre punte che Branch spesso indossava sul palco.